Non avrei mai pensato di utilizzare questo blog parlando della mia vita e vi assicuro, amici miei e non della ventura, che è la prima ed ultima volta. Però almeno stavolta dovete concedermelo.
Ricordo una sera, era tardi, guardavo “I laureati” su rai 3, compianto programma della premiata coppia paolo rossi / piero chiambretti… se non vado errato ero iscritto al primo anno di università, tanti sogni e tante speranze in testa, la quasi matematica certezza che stessi seguendo un percorso verso un avvenire glorioso e pieno di soddisfazioni. Ricordo che salì sul “pulpito” un rettore di una università di non so dove, non importa. Mi colpì perché disse una frase che da un lato mi rincuorò e dall’altro lato mi diede una forza interiore e mi spronò a fare del mio meglio. Disse: “Riuscirete a centrare tutti gli obiettivi che vi siete preposti se studierete come delle bestie“.
Questa frase mi aiutò molto. Mi persuase che tutti i sacrifici che stavo facendo non erano vani: sempre chiuso in casa a capo chino sui libri a cercare di capire qualcosa di analisi matematica 1, nessun hobby, nessun amico, nessuna ragazza, sempre chiuso in casa… Solo lo studio era importante per me. Intere settimane passate a casa perché in quel periodo non c’erano corsi. Le parole di quel rettore mi persuasero che stavo facendo la cosa giusta: grazie a quei sacrifici avrei centrato tutti i miei obiettivi. Sì, stavo davvero facendo la cosa giusta: dovevo studiare come una bestia. E, devo dire, trovai nuova forza in quelle parole e iniziai ad intensificare i miei studi, eliminando qualunque distrazione. Ero un topo da scrivania, se mi fate passare la definizione. E i miei sacrifici sono anche stati, nell’immediato, ricompensati. Se penso alla mia carriera universitaria la ricordo ricca di soddisfazioni. Tra l’altro, con gli anni, ho anche trovato un equilibrio tra lo studio e un minimo barlume di vita sociale, qualche hobby, qualche fidanzata, etc. Ma la costante dei miei sette anni universitari (e ci si ostina a pensare che ingegneria sia una laurea quinquennale!) è stata sempre e solo una: la certezza che dovevo studiare come una bestia.
Morale della favola: mi sono laureato in ingegneria informatica con 110 e lode, con una media di esami del 29 spaccato, anzi con qualche spicciolo. Pensate che per calcolare il voto di partenza nella mia facoltà si fa mediavoti*4-4. Io partivo da 112. Il presidente della commissione, tra l’altro mio relatore, mi disse: “Purtroppo non possiamo darle 112”. Peccato, 2 punti buttati. Non ero neanche troppo vecchio: avevo compiuto 25 anni da meno di un mese. Tutto sommato, le mie piccole soddisfazioni le ho avute.
Il problema è venuto dopo. Mi aspettavo, come uno stupido ingenuotto, che i miei enormi sacrifici mi avrebbero dato un lavoro entusiasmante, ben retribuito, una posizione rispettata, una professionalità riconosciuta. Tutte speranze puntualmente disilluse.
E pensare che dovevo riternermi fortunato: ho iniziato a lavorare 15 giorni dopo la mia laurea, evitando il militare e facendo il lavoro per cui avevo studiato. Il contratto era a tempo indeterminato. Posizione invidiabile. Peccato che avevo firmato le dimissioni anticipate da lì a 9 mesi che potevano essere impugnate dal datore di lavoro in qualunque momento. Peccato che ero inquadrato come quinto livello metalmeccanico e guadagnavo meno di mille euro al mese. E sono stato fortunato: oggi i neolaureati devono farsi almeno un anno di stage dove vengono pagati circa 100 euro al mese per fare da schiavi, da segretari, da facchini… oggi i contratti a tempo indeterminato non esistono più, la tanto decantata flessibilità regala sempre più incertezze e precarietà. E poi se ne vengono dicendo che la legge Biagi ha creato tre milioni di posti di lavoro. Beh, è facile se ogni 6 o 9 mesi crea altrettanti disoccupati… E’ facile far emergere il lavoro nero se si danno sgravi fiscali ad aziende che pagano quattro soldi un laureato alla prima esperienza lavorativa: è conveniente per le aziende, ma per il lavoratore… Il lavoro dipendente è la schiavitù dei nostri giorni. Gli imprenditori di oggi sono i latifondisti di ieri.
Morale della favola: mi pento amaramente di essermi laureato. Se avessi iniziato a lavorare nel settore informatico quando mi sono iscritto all’università, nel 1995, oggi avrei 12 anni di esperienza e avrei vissuto il periodo del boom della professione, dove ancora in pochi facevano questo lavoro e dove si era guardati con rispetto perchè si riusciva a “parlare” a quei mostri di personal computer. Oggi mi trovo con una laurea inutile: una professione inflazionata in un mercato perennemente in crisi che sta facendo dei suoi “professionisti” una classe operaia più sfruttata e bistrattata e senza il minimo diritto. I sindacati non esistono. Albi professionali meno che mai. Tutela della professione zero. Imbarbarimento della professione continuo (tutti fanno i programmatori, ma ormai anche gli analisti e i progettisti: tutti). L’informatico è l’operaio del nuovo millennio: peggio c’è solo l’operatore di call center e anche su questo potrei nutrire dei dubbi. Ma mentre l’operaio finito il turno andava a casa l’informatico fa straordinari gratis e mentre fa la doccia continua a pensare al problema che ha incontrato il giorno prima o a quello che dovrà fare appena arrivato in ufficio. Questo è davvero un lavoro usurante, non altri.
Morale della favola: dopo quasi cinque anni di onorata carriera mi sono dimesso. Preferisco fare il disoccupato. Ricomincio da zero. Cambio lavoro, cambio vita, cambio tutto. Tengo una favolosa laurea appesa al muro. Peccato che la pergamena sia troppo rigida per pulirmici il culo.
Tanto Vi dovevo.